venerdì 1 novembre 2013

Commento al Vangelo

                                                        (Luca 19, 1-10)


Nel notissimo brano della conversione di Zaccheo (caratteristico del vangelo di Luca) ognuno di noi può rispecchiarsi nel percorso umano-spirituale di un uomo che, nonostante i propri errori o limiti, cerca di dare spazio al desiderio di vedere Gesù e si attiva per superare impedimenti personali (la bassa statura) e ostacoli esterni (la folla).
E come Zaccheo si sorprende nello scoprire che in realtà è Gesù che lo cerca e lo vede alzando gli occhi e, chiamandolo per nome, gli restituisce dignità e valore, al di là delle categorie in cui i facili giudizi umani lo rinchiudono, così anche noi ci sorprendiamo nello scoprire che per Dio siamo sempre meritevoli di attenzione e interesse, siamo preziosi ai suoi occhi, degni di stima e lui ci ama (cfr. Is 43,4).
Zaccheo può significare “puro”, un nome smentito dal suo lavoro, in quanto i pubblicani, che raccoglievano tributi, erano di fatto equiparati a dei ladri, perché alla tassa che dovevano raccogliere aggiungevano una parcella per sé e la tentazione di esagerare era cosa diffusa.
Zaccheo, il “puro”, è considerato da tutti un peccatore pubblico, come infatti essi mormorano quando apre la sua casa a Gesù per accoglierlo con grande gioia. Tutta la folla non sa vedere altro, il suo sguardo è ancora accecato (cfr. Lc 18, 35-43) perché legge la realtà con i criteri di sempre: Zaccheo è un peccatore, magari temuto e rispettato, e l’unico comportamento da seguire è quello di non unirsi a lui, di tenerlo a distanza.
La scelta di Gesù di autoinvitarsi a casa di Zaccheo e di sedersi a mensa con lui è quindi assolutamente scandalosa, non degna di un rabbi.
Eppure questo è lo stile di Gesù. Luca aveva già ricordato un episodio molto simile (cfr. Lc 5,27-32), quando Gesù chiama il pubblicano Levi a far parte del gruppo dei suoi discepoli e Levi prepara un grande banchetto, provocando la disapprovazione dei farisei e degli scribi.
Ora che il cammino di Gesù è quasi concluso (Gerico è alle porte di Gerusalemme) l’ostilità è generalizzata (tutti mormorano), ma Gesù non modifica le priorità che derivano dalla consapevolezza della sua missione.
“Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5,32)
“Il figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto” (v.10).
Capiamo allora che questo brano racconta certo di una conversione, ma prima di tutto ci racconta la persona di Gesù, ci dice chi è, e facendo questo ci svela il volto di Dio.
Gesù è anzitutto uno che “attraversa” la città, che ci sta dentro, che conosce da vicino la complessità del vivere umano e anche per questo rifiuta gli stereotipi, le facili generalizzazioni, i giudizi paralizzanti. Gesù dona a ciascuno una nuova possibilità, e lo fa chiamando per nome, riconoscendo cioè l’unicità e la storia individuale di ciascuno. Lo fa donando la propria compagnia, la propria vicinanza, entrando nella vita dell’altro: “oggi devo fermarmi a casa tua”. C’è in questo “devo” l’urgenza e la necessità di incontrare l’amato e di compiere il piano voluto da Dio.
Gesù è l’uomo dell’oggi. Dio è il Dio dell’oggi, non solo del futuro. Perché è oggi che chi è perduto attende dignità, riconoscimento, opportunità di vita, in altre parole “salvezza”.
Se questo è stato il cammino di Gesù fino alla fine, fino a Gerusalemme, questo dovrà essere il cammino della comunità dei suoi discepoli.
Anche noi non possiamo dividere la comunità umana in buoni e cattivi. E questo non per buonismo o ingenuità, o perché scendiamo a compromessi con le azioni di ingiustizia, di violenza, di sopruso, di falsità. Ma solo perché, partendo dalla nostra esperienza personale, sappiamo bene che anche un ladro come Zaccheo può cambiare vita e ritornare ad essere “puro” e restituire quello che ha rubato in una misura superiore a quello che la Legge stessa prescriveva (cfr. Es 22,3.6; Lv 5,21-24).
Non tutti accoglieranno l’invito, non tutti scenderanno in fretta come Zaccheo. Ma tutti hanno il diritto di ascoltare e di vedere incarnata nella nostra vita la parola di Gesù che ancora oggi attraversa le nostre città, perché tutti sono eredi delle promesse e delle benedizioni che Dio ha rivolto ad Abramo.
L’invito a “scendere in fretta” è un invito alla prassi e non alle buone intenzioni. Siamo pronti ad ospitare nella casa della nostra vita la persona e il messaggio di Gesù? Siamo pronti a manifestare con scelte concrete cosa significa per noi accogliere Gesù e cosa significa tenere vivo il nostro amore per lui? Le nostre relazioni animate da giustizia, l’esperienza gioiosa di una “salvezza”, di una possibilità di vita autentica, il dono della vicinanza e della compagnia che non giudica, sono le parole che prolungano oggi l’invito di Gesù ad ogni Zaccheo: “Scendi in fretta perché oggi devo fermarmi a casa tua”.

Dorina e Fiorenza

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