Nel notissimo brano della conversione di Zaccheo
(caratteristico del vangelo di Luca) ognuno di noi può rispecchiarsi nel
percorso umano-spirituale di un uomo che, nonostante i propri errori o limiti,
cerca di dare spazio al desiderio di vedere Gesù e si attiva per superare
impedimenti personali (la bassa statura) e ostacoli esterni (la folla).
E come Zaccheo si sorprende nello scoprire che in realtà è
Gesù che lo cerca e lo vede alzando gli occhi e, chiamandolo per nome, gli restituisce
dignità e valore, al di là delle categorie in cui i facili giudizi umani lo
rinchiudono, così anche noi ci sorprendiamo nello scoprire che per Dio siamo
sempre meritevoli di attenzione e interesse, siamo preziosi ai suoi occhi,
degni di stima e lui ci ama (cfr. Is 43,4).
Zaccheo può significare “puro”, un nome smentito dal suo
lavoro, in quanto i pubblicani, che raccoglievano tributi, erano di fatto
equiparati a dei ladri, perché alla tassa che dovevano raccogliere aggiungevano
una parcella per sé e la tentazione di esagerare era cosa diffusa.
Zaccheo, il “puro”, è considerato da tutti un peccatore
pubblico, come infatti essi mormorano quando apre la sua casa a Gesù per
accoglierlo con grande gioia. Tutta la folla non sa vedere altro, il suo sguardo
è ancora accecato (cfr. Lc 18, 35-43) perché legge la realtà con i criteri di
sempre: Zaccheo è un peccatore, magari temuto e rispettato, e l’unico
comportamento da seguire è quello di non unirsi a lui, di tenerlo a distanza.
La scelta di Gesù di autoinvitarsi a casa di Zaccheo e di
sedersi a mensa con lui è quindi assolutamente scandalosa, non degna di un
rabbi.
Eppure questo è lo stile di Gesù. Luca aveva già ricordato
un episodio molto simile (cfr. Lc 5,27-32), quando Gesù chiama il pubblicano
Levi a far parte del gruppo dei suoi discepoli e Levi prepara un grande
banchetto, provocando la disapprovazione dei farisei e degli scribi.
Ora che il cammino di Gesù è quasi concluso (Gerico è alle
porte di Gerusalemme) l’ostilità è generalizzata (tutti mormorano), ma Gesù non
modifica le priorità che derivano dalla consapevolezza della sua missione.
“Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché
si convertano” (Lc 5,32)
“Il figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che
era perduto” (v.10).
Capiamo allora che questo brano racconta certo di una
conversione, ma prima di tutto ci racconta la persona di Gesù, ci dice chi è, e
facendo questo ci svela il volto di Dio.
Gesù è anzitutto uno che “attraversa” la città, che ci sta
dentro, che conosce da vicino la complessità del vivere umano e anche per
questo rifiuta gli stereotipi, le facili generalizzazioni, i giudizi
paralizzanti. Gesù dona a ciascuno una nuova possibilità, e lo fa chiamando per
nome, riconoscendo cioè l’unicità e la storia individuale di ciascuno. Lo fa
donando la propria compagnia, la propria vicinanza, entrando nella vita
dell’altro: “oggi devo fermarmi a casa tua”. C’è in questo “devo” l’urgenza e
la necessità di incontrare l’amato e di compiere il piano voluto da Dio.
Gesù è l’uomo dell’oggi. Dio è il Dio dell’oggi, non solo
del futuro. Perché è oggi che chi è perduto attende dignità, riconoscimento,
opportunità di vita, in altre parole “salvezza”.
Se questo è stato il cammino di Gesù fino alla fine, fino a
Gerusalemme, questo dovrà essere il cammino della comunità dei suoi discepoli.
Anche noi non possiamo dividere la comunità umana in buoni e
cattivi. E questo non per buonismo o ingenuità, o perché scendiamo a
compromessi con le azioni di ingiustizia, di violenza, di sopruso, di falsità.
Ma solo perché, partendo dalla nostra esperienza personale, sappiamo bene che
anche un ladro come Zaccheo può cambiare vita e ritornare ad essere “puro” e
restituire quello che ha rubato in una misura superiore a quello che la Legge
stessa prescriveva (cfr. Es 22,3.6; Lv 5,21-24).
Non tutti accoglieranno l’invito, non tutti scenderanno in
fretta come Zaccheo. Ma tutti hanno il diritto di ascoltare e di vedere
incarnata nella nostra vita la parola di Gesù che ancora oggi attraversa le
nostre città, perché tutti sono eredi delle promesse e delle benedizioni che
Dio ha rivolto ad Abramo.
L’invito a “scendere in fretta” è un invito alla prassi e
non alle buone intenzioni. Siamo pronti ad ospitare nella casa della nostra
vita la persona e il messaggio di Gesù? Siamo pronti a manifestare con scelte
concrete cosa significa per noi accogliere Gesù e cosa significa tenere vivo il
nostro amore per lui? Le nostre relazioni animate da giustizia, l’esperienza
gioiosa di una “salvezza”, di una possibilità di vita autentica, il dono della
vicinanza e della compagnia che non giudica, sono le parole che prolungano oggi
l’invito di Gesù ad ogni Zaccheo: “Scendi in fretta perché oggi devo fermarmi a
casa tua”.
Dorina e Fiorenza
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