venerdì 29 novembre 2013

Commento al Vangelo


Viene il figlio dell’uomo. Vegliate!
(Mt 24, 37-44)

 “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà”

Ritorna il periodo di avvento (che significa “venuta”), perché ancora abbiamo bisogno di confrontarci con la domanda che riguarda la venuta di Dio e della sua giustizia: Dio si interessa di noi oppure è lontano e assente?
Quando, generazione dopo generazione, le angosce del vivere fiaccano le speranze e sembra che la notte non abbia fine, le domande che salgono dalla storia sono sempre le stesse: “Dio, quando verrai?”, “Come faremo a riconoscerti nel tuo giorno?”.
La venuta del “giorno di JHWH”, giorno di salvezza e di giudizio, già annunciato dai profeti, diventa con Daniele la venuta del “figlio dell’uomo” (cfr. Dn 7), una figura enigmatica in stretto rapporto con Dio, forse una comunità o il capo di una comunità che, opponendosi alle “bestie”, riceve sovranità universale e gloria.
“Figlio dell’uomo” in ebraico può significare semplicemente “uomo” ed è un titolo che nei vangeli ritorna solo in bocca a Gesù per parlare di sé, e custodisce questa ambiguità: indica un uomo, ma con un rimando stretto al divino e alla sua opera di giustizia.

“Quando verrà Dio in mezzo alle nostre sofferenze per rendere giustizia ai suoi servi? Quando verrà il giorno della sua manifestazione, che sarà tempo di riscatto e salvezza per chi ora soffre ingiustamente?”. Sono le domande che molti giudei e anche la comunità di Matteo si ponevano in quegli anni turbolenti e drammatici che hanno visto la profanazione del Tempio e la distruzione di Gerusalemme, le rivolte giudaiche e le dure repressioni che le accompagnarono.
Nei capitoli 24-25 del vangelo sono raccolte le risposte che la comunità matteana ha saputo darsi in merito a queste grandi domande, alla luce delle parole e della vita di Gesù e alla luce dell’esperienza di pasqua.
Il linguaggio apocalittico utilizzato è per noi distante ed enigmatico, ma era diffuso a quel tempo per incoraggiare a mantenere viva la speranza dentro le tribolazioni del presente.
Innanzi tutto parlando della “venuta del Figlio dell’uomo” la comunità di Matteo ci testimonia che la salvezza attesa e invocata ha a che fare con Gesù, cioè passa attraverso di lui, Figlio dell’uomo, uomo pienamente realizzato e somigliante a Dio, come un figlio al padre.
Il giorno della salvezza, passa attraverso Gesù, è il suo giorno, è la sua manifestazione, è un giorno che viene quando noi ci inseriamo nel solco tracciato da lui e viviamo concretamente come lui.
Un giorno simile, lo shalom atteso e invocato, la pace e l’armonia, non avverranno solo in un futuro lontano e in un mondo nuovo, ma vengono nel presente e nella nostra storia, accadono qui e ora, dentro le vicende quotidiane, segnate dal mangiare e bere, dallo sposarsi, dal lavorare, dal vivere l’amore e l’amicizia, dal coltivare i propri desideri e realizzare le proprie aspirazioni.
Il rischio è vivere nell’inconsapevolezza, nel non sapere riconoscere l’urgenza del momento presente, di ogni momento. Come ai tempi di Noè. Qui non viene detto come in Genesi che le generazioni contemporanee di Noè erano malvagie (cfr. Gen 6,5.12) , è detto semplicemente che vivevano nell’incoscienza, senza accorgersi di quello che stava succedendo. La responsabilità che può generare un futuro migliore è il discernimento nell’oggi, è un “sapere” riconoscere il nuovo che germoglia (cfr. Is  43,19), un saper leggere e interpretare i giorni che si vivono (cfr. Lc 12,54-55), è riconoscere che il tempo è colmo, pieno, e il Regno si è fatto vicino e che perciò oggi è il momento favorevole (cfr. Mc 1,15).

Ciò che fa la differenza è qualcosa che non appare immediatamente, al punto che due persone impegnate nello stesso lavoro avranno due sorti diverse: una sarà presa e l’altra lasciata. Questa immagine non parla della bizzarria di Dio, ma allude alla qualità etica delle persone, alla loro interiorità. La venuta del Figlio dell’uomo ci impegna a vigilare non solo sui tempi, sul “quando” ma anche sul nostro cuore, che è il primo luogo in cui il Signore può venire a dimorare.
Vigilare, restare svegli e pronti, significa crescere in questo “sapere”, in questa sapienza, che di per sé è ignoranza circa il tempo esatto della venuta, ma è attenzione al momento presente, sempre gravido di Dio, è essere buoni amministratori della casa in cui viviamo, di noi stessi e delle relazioni che costruiamo (cfr. brano seguente, vv. 45-51). Proprio perché l’ora è qualcosa di impensato e ignoto (cfr. vv. 36.44), siamo chiamati a pensare e conoscere il presente, unico tempo che davvero ci è dato. Così facendo contrastiamo la notte e permettiamo al giorno del Figlio dell’uomo di sorgere ancora. Così facendo una nuova convivenza, la nuova Gerusalemme, scenderà dal cielo e sarà fondata sulla nostra terra (cfr. Ap 21-22) mentre noi, con lo spirito e la sposa continuiamo a invocare: “Vieni, Marana tha” (cfr. Ap 22,17.20).

Dorina e Fiorenza

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