Ministre della Difesa: fotografie
storiche di un’emancipazione triste di Monica Lanfranco
La foto ‘storica’ che ritrae le cinque ministre della Difesa
alla riunione Nato (Italia, Norvegia, Albania, Germania e Olanda) è stata
salutata come un evento, e lo è. Si tratta della prima volta, in assoluto, che
così tante donne ricoprono questo ruolo in Europa. Guardo l’immagine, che le
ritrae sorridenti ed eleganti, mentre si tengono a braccetto, e mi chiedo
perché non provo quella gioia e quell’orgoglio che dovrei sentire.
Non ho, non abbiamo lottato in tutti i modi possibili
(raccogliendo i frutti e i lasciti delle femministe più anziane) anche perché
una nostra simile potesse ricoprire una carica così importante, rompendo il
tetto di cristallo che bloccava le donne nell’accesso di alcuni luoghi, alcuni
poteri, alcune funzioni che solo gli uomini avevano il privilegio di incarnare?
La discussione sulla necessità di praticare il principio
paritario del 50 e 50 è stata difficile, irta di asperità e trappole: da una
parte un teorico giusto bisogno di sanare la palese ingiustizia della finta
rappresentanza, perché non c’è uguaglianza se non si può essere dovunque. Ma se
questo è vero, come fare per tenere insieme il principio di quantità della parità
formale con l’assoluto bisogno di qualità e di contenuti? Grave dilemma: agli
uomini non si è mai chiesto di garantire quantità e qualità, visto che erano
sempre i soli a gestire il potere, (dalla famiglia al Parlamento), e più che la
qualità valeva il principio di cordata e di fedeltà alla linea di una
ideologia.
Le donne, non previste dalla storia plasmata, narrata e
tramandata dagli uomini, in politica sono sempre state comunque ospiti, e
nonostante le cariche acquisite sono facilmente depotenziabili: con l’insulto
sessista o con il riporle nella ‘naturale’ dimensione sociale attraverso
colorite disamine (di stampa e tv) sull’acconciatura, sull’abbigliamento, sulla
fisicità: difficile che a un uomo sia riservato un trattamento così umiliante,
svalorizzante e banalizzante.
Così, ora che c’è un fiorire di ministre al governo in Italia,
(non quella per le Pari opportunità, forse a dire che la matematica di un
governo è sufficiente) e ora che le foto ritraggono così tante donne alla
Difesa possiamo dirci più forti e realizzate nell’intento di perseguire la
parità e le pari opportunità? Non dovrei, non dovremmo essere soddisfatte? In
quella foto c’è una mia concittadina e pressocché coetanea, Roberta Pinotti.
L’ho conosciuta e intervistata nel 1997 per la rivista femminista Marea: reduce
dall’abbagliante vittoria elettorale dentro al monolitico e assai maschilista
ex Pci, diventata assessora in Provincia, Pinotti era ancora fresca dello
spirito scoutistico che costituiva il suo robusto background, e lamentava la
distanza tra il metodo della condivisione al quale era abituata con quello
straniante e solitario del potere. Prometteva ascolto, relazione con le altre
donne, dichiarava curiosità verso il mondo dei movimenti. Da allora deve essere
successo qualcosa di straordinario, se quella stessa donna dichiarò di recente
di preferire come Presidente della Commissione Difesa del Senato Sergio De
Gregorio a Lidia Menapace, ottantenne partigiana e femminista nota per le sue
convinte e motivate posizioni antimilitariste, pacifiste e nonviolente e rea
agli occhi della ex scout di aver dichiarato la sua contrarietà alle esibizioni
delle Frecce tricolori.
E mentre l’ex partigiana e fondatrice del Manifesto, appena
eletta al Senato aveva già cominciato a prendere contatti con alcuni esponenti
illuminati delle Forze Armate, disponibili a ragionare su riconversione del
militare, dismissioni di siti per la restituzione di parte di questi alle
comunità Pinotti dichiarò, (per bocca di De Gregorio, come riporta Il Fatto
Quotidiano): ”Meglio che sia stato eletto De Gregorio, nonostante il suo sia
stato un blitz, perché avremmo dovuto combattere con la Menapace, che ha un
valore distorto della divisa e delle Forze Armate”. Sarebbe interessante capire
di che valore si tratta, ma il sospetto è che non sarà facile far tornare
Pinotti su questo argomento.
Peccato, perché molte donne avevano pensato che questa ex scout
dall’aria pulita e ispirata dalla passione per la giustizia sociale potesse
rappresentare un’occasione di cambiamento rispetto alla mentalità del potere
triste e autoreferenziale che lei per prima diceva di avversare. Solo una
coincidenza: in quel numero di Marea l’intervista a Roberta Pinotti (il titolo
era Il potere seduce, ma io non ci sto) seguiva un lungo articolo scritto da
Lidia Menapace, dal titolo Patti tra donne.
Già, i patti: in che cosa può differire, per cominciare, il modo
di usare il potere per costruire cambiamento rispetto all’esistente frusto
modello patriarcale della politica? Per esempio facendo dei patti con le donne
che non si vogliono uniformare al sistema, e che accettano ruoli istituzionali
pubblici ma non rinnegano ideali e valori alternativi rispetto a quelli del
dominio.
Quindi non si tratta di essere solo delle donne, fisicamente,
perché ciò non garantisce automaticamente distanza dai valori patriarcali, non
è un vaccino contro il virus dell’autoreferenzialità, dell’ambizione senza
umanità, del primato del pensiero unico. Per fare la differenza bisogna essere
differenti, nella testa e nel cuore, e non solo, purtroppo, nei genitali.
Qualche settimana fa un’anziana suora negli Usa ha accettato con
serenità la condanna da 5 anni di carcere per avere manifestato contro una
struttura militare che produce aerei da combattimento, assai simili a quelli
che la nostra ministra della Difesa vuole finanziare. A parte l’età tarda, che
forse potrebbe essere un ostacolo (anche se mi risulta che non lo sia per papi
e Presidenti) sorriderei a vedere quella suora nella foto tra le ministre, e mi
sentirei pacatamente appagata.
Forse
la novità di quella foto è che oggi posso criticare una ministra della Difesa,
invece che un ministro, grazie anche al contributo di attiviste come Lidia
Menapace che hanno lottato perché le più giovani sedessero in Parlamento e poi
diventassero titolari di dicasteri. Però non chiedetemi di essere contenta per
questo.
Nessun commento:
Posta un commento