A proposito di scomuniche...
di Franco Barbero
La storia ha ben documentato una
sorprendente molteplicità di usi e di abusi dell’istituzione ecclesiastica
cattolica. Come cristiano, parto dal fatto che il “Dio benedicente” e la
“Chiesa maledicente” spesso sono realtà compresenti. Tra Dio e Chiesa non mi
aspetto né continuità né coincidenza territoriale. Questa constatazione è stata
sempre per me estremamente liberante. L’alterità di Dio rispetto alla Chiesa mi
ha preservato da lacerazioni insanabili quando ho constatato dissonanze,
estraneità, tradimenti del Vangelo nella e della istituzione ecclesiastica. Per
me “credere” nel Dio di Gesù è gustare la “benedizione creaturale”. Questa è la
prima e l'ultima parola della mia fede. Come creature, stiamo tutti nella
benedizione: possiamo non riconoscerla, ma essa ci avvolge e ci “assedia”.
Guardo il mondo e la mia piccola vita da
questa “finestra”. Senza questa radicale fiducia nella preveniente ed
incancellabile realtà del rapporto di benedizione, che circola, anima e
percorre tutte le arterie del creato, andrei diritto al suicidio assistito...
Dio non scomunica mai, non si disconnette
mai: noi possiamo “chiudere” e fuggire, ma il Suo amore non verrà mai meno. Per
questo, molti cristiani e cattolici hanno assaporato la benedizione anche nei
giorni in cui arrivava loro la “maledizione-scomunica” ecclesiastica. I miei
più saggi maestri li ho sempre trovati non tra i prudenti progressisti, ma tra
i censurati e gli estromessi, gli scomunicati, le “streghe”, gli “eretici”, le
cattive compagnie.
Mi sono rallegrato delle chiare parole di
papa Francesco rispetto ai mafiosi e ritengo che in certi casi estremi la
scomunica possa essere una dolorosa necessità (contro i commercianti di carne
umana, contro l'impero delle armi...), ma finché resta prerogativa di una
autorità sganciata da un confronto comunitario, essa rimane, a mio avviso,
esposta all'arbitrio di un vescovo (come nel caso della fondatrice di Noi Siamo
Chiesa). Ma c'è di peggio. Oggi la scomunica non manda più al rogo, ma ha
assunto un volto aggiornato. Tramite la scomunica o la defenestrazione si
mantiene in mani gerarchiche la definizione del “territorio ecclesiale”.
La mia vicenda personale, per quanto
irrilevante, mi ha condotto ad alcune riflessioni. La gerarchia scatta, fa
pressione, lusinga, minaccia, mette sotto processo e poi scomunica quando
vengono messi in crisi il sistema sacral-gerarchico, l'apparato strutturale e
la codificazione dogmatica o morale. Nei processi ecclesiastici subiti non mi
venne mai chiesto altro che allinearmi ed obbedire. Gli “inviati speciali” da
parte della gerarchia usarono tutti i toni possibili. Al mio “persistere
nell’errore” conclusero: «Come osi tu, che non conti niente, ergerti contro il
monumento cristologico e trinitario della intera tradizione cristiana?».
Oppure: «Come puoi incoraggiare il vizio omosessuale?».
Se non sei funzionale alla compattezza
istituzionale e se non ti accontenti di criticare qualche aspetto negativo
marginale, lì finiscono le tue fortune nell’istituzione ecclesiastica. Credere
in Dio e appartenere ad una Chiesa, senza rassegnarti all’obbedienza,
costituisce un percorso pericoloso, che porta alla marginalizzazione,
all'oblio, alla scomparsa dai “video ecclesiali”. A questo punto o porti nel
tuo cuore e nelle tue viscere il calore della “benedizione” di Dio o rischi di
imprigionarti nella rabbia, nello sconforto, nell'abbandono di un ministero che
dà ossigeno ai tuoi giorni.
Papa Francesco non ha per ora rotto questa
catena. La sua tragica ambiguità, a mio avviso, sta in questa doppiezza:
scomunica i mafiosi, ma scomunica anche i teologi, le teologhe, i credenti che
cercano vie nuove di fedeltà al Vangelo nel mondo di oggi. A mio avviso, se non
si rompe questa pratica inquisitoriale, non si va al nodo del problema. Senza
la libertà di ricerca, senza la “disobbedienza”, senza nuovi linguaggi la
nostra Chiesa esaurirà presto il “vento di speranza e di empatia” che sta
soffiando. Qui si tocca l'impianto strutturale e, senza questa “conversione”,
nella nostra Chiesa – che noi scomunicati continuiamo ad amare – si ripeteranno
per secoli formule venerande confondendo il rispetto e l’amore della tradizione
con il tradizionalismo.
Non siamo chiamati/e a ripetere, ma a
riscoprire, a dire oggi l’indicibile ed affascinante mistero di Dio.
Adista Segni nuovi n° 28 del 26/7/2014
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