Non è vero che in una coppia genitoriale composta da due mamme una
sia svantaggiata rispetto all’altra. Certo, a colei che non ha partorito e non
ha patrimonio genetico in comune con il figlio ad oggi non sono
riconosciuti giuridicamente gli stessi diritti riconosciuti alla madre
biologica, e questo è qualcosa di incivile, tanto per lei quanto per il
piccolo.
Ma da un altro punto di vista (che è anche da quello del bambino, il
più importante tra i soggetti in questione) le due mamme interpretano
semplicemente due differenti gesti affettivi. E non mi riferisco
alle funzioni genitoriali materne/paterne, quelle lo sappiamo che sono
esercitabili entrambe da entrambi i genitori indipendentemente dal genere
sessuale di ognuno e che si possono alternare in ogni individuo, tanto nelle
coppie omosessuali cosi come in quelle eterosessuali.
Mi riferisco piuttosto
all’essere madre per forza e madre per scelta. Mi spiego.
In una coppia di genitori femmine, il bambino è sia avuto che
voluto, cioè sia partorito che adottato. Non solo. Mentre la madre biologica
è una madre coatta, ossia diventa madre per il semplice fatto di essere madre
biologica, a prescindere dalla sua mente e dal suo cuore, la madre adottiva lo
è per scelta. Partorisce col cuore. Concepisce con la mente. Si potrebbe quasi
dire che una ci mette il corpo, l’altra la mente, entrambe il cuore.
La madre biologica, anche se appunto costretta dalla natura a adempiere con
competenza alle funzioni necessarie al decollo della vita del figlio
indipendentemente dalle sue emozioni, potrà godere del piacere di un
intimissimo corpo a corpo col cucciolo, del privilegio di un contatto così
ravvicinato da riuscire a riconoscere col cuore, ancora prima che con la mente,
quel primario alfabeto affettivo che, invece la sua compagna potrà
apprendere solo più tardi e probabilmente con l’aiuto di una traduzione, di una
mediazione. La madre adottiva però, anche se forse inizialmente esclusa,
come anche molti papà, dalla relazione fusionale dell’”esogravidanza“,
sarà svincolata da qualunque “peso” interiore correlato alla responsabilità del
maternage e invece perfettamente libera di desiderare il proprio figlio in ogni
momento del loro rapporto.
Nessuno racconta il dirupo su cui spesso si affaccia la maternità
(biologica). E quando lo si fa è per narrare gli effetti, le conseguenze,
sempre drammatiche, che una vertigine non contenuta sul quel dirupo ha
prodotto. Non si raccontano i sentimenti ambivalenti e contrastanti, non si
racconta che oltre all’amore appassionato per il proprio figlio, c’è rabbia,
angoscia, a volte persino odio.
Non si raccontano il senso di inadeguatezza e
il senso di colpa per quella fantasia di inadeguatezza, la solitudine, la
disperazione, la spossatezza.
Si racconta soltanto una faccia della medaglia, quella che idealizza il rapporto
madre-figlio, l’estasi, la simbiosi felice, il rapimento in un amore mai
provato prima: sentimenti veri ma parziali.
Così come di una madre adottiva si racconta soltanto la condizione di
svantaggio, la distanza incolmabile con un figlio non partorito, non allattato,
non posseduto. Ma non si racconta l’incredibile gioia di donare tutto di sé,
spontaneamente, sinceramente, liberamente, senza l’ingombro del narcisismo,
senza l’incubo della riprova e della restituzione, senza l’ansia della
prestazione, del consenso. Le madri adottive probabilmente al posto
dell’angoscia sviluppano coraggio, non soffrono il confronto con le altre madri
perché con loro non hanno in comune nulla su cui competere. Non sono
vulnerabili nell’esercitare la loro maternità.
Ecco
che un figlio con due mamme sarà un bambino voluto due volte, atteso due
volte, sperato due volte. E due inteso non come doppio di uno ma come
cooperazione tra gesti affettivi diversi, non come somma di
qualcosa di identico ma come compiutezza, completezza. Le doppie maternità
compensano l’una i limiti dell’altra, spostano i confini, ridisegnano gli
orizzonti dell’attaccamento del bambino ed è importante che, in coppie di
questo tipo, si faccia chiarezza sul valore della differenza di ciascuna
maternità, senza alcuna gerarchia, semplicemente in parità. E che si tenga ben
fisso nella mente che un bambino avuto e voluto è sicuramente un bambino
fortunato e che, proprio per questo, se dovesse incontrare difficoltà (esterne
o interne) per il fatto di non avere un papà, è molto probabile che saprà come
affrontarle con le proprie risorse interiori con la creatività e la vitalità
data dal sentirsi accolti e accettati due volte.
Il Fatto Quotidiano – 30
luglio 2014
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