Pensavate
che la scienza fosse un baluardo di enunciati a beneficio delle nostre
certezze? In realtà si rivela sempre più per ciò che è: un’incessante attività
che regge le proprie certezze sul dubbio. Ed è grazie alla pace con questo
ossimoro che la biologia si sta liberando di dogmi che rischiavano di
paralizzarne la missione: prepararsi a un salto nel buio. La natura «in sé» -
per dirla con Kant - non è la natura come la pensiamo. L’uomo, infatti, nella
necessità di ordinarne i fenomeni, è ricorso all’uso di categorie, ma queste
non sono altro che sovrastrutture del pensiero senza corrispondenze
nell’architettura della vita.
Gianvito
Martino, neurologo, direttore della Divisione di Neuroscienze dell’Istituto Scientifico
Universitario San Raffaele di Milano, chiarisce la lezione in un saggio che
mette i brividi a chi è abituato agli ordinari manuali di divulgazione: «In
crisi d’identità. Contro natura o contro la natura?» (Mondadori Università).
Martino ci racconta di cellule della pelle e del sangue capaci di trasformarsi
in cellule embrionali, di topi femmine che diventano topi maschi e topi maschi
che diventano topi femmine e poi ancora di specie che cambiano specie: sono
alcuni esempi di ciò che succede in natura. La biologia ci fornisce un
messaggio chiaro: «Il concetto di identità così come l’abbiamo conosciuto
attraverso la filosofia, la letteratura e le scienze tradizionali - spiega - va
completamente rivisto».
Per
dimostrarlo Martino ricorre, tra gli altri esempi, alla plasticità sessuale,
già dimostrata in forme di vita molto semplici, come gli organismi
unicellulari, ma per la prima volta osservata anche in un topo, cioè in un
mammifero. «Eliminando un solo gene dei 30 mila che compongono il suo genoma -
dice - siamo in grado di attivare reazioni a cascata che hanno il risultato di
cambiare fisicamente la composizione degli organi sessuali da maschili a
femminili e viceversa». Proprio l’identità sessuale, sulla quale le ideologie
si scatenano, fornisce una laica presa d’atto della sua naturale «ambiguità». I
comportamenti «multisessuali» sono non solo naturali ma, soprattutto, necessari
alla sopravvivenza degli organismi. Martino ricorda che in Gran Bretagna - con
il benestare del National Research Ethics Service - la clinica Tavistock and
Portman Nhs Foundation Trust, già specializzata nella cura dei disordini delle
identità di genere, è stata autorizzata a somministrare (sperimentalmente)
iniezioni mensili a bambini di 12 anni per bloccare la pubertà. Somministrando
testosterone nei maschi biologici ed estrogeni nelle ragazze biologiche, è
possibile capire se questo tipo di trattamento possa aiutare i giovani
«confusi» nel fare una scelta sessuale oculata prima che nell’organismo
compaiano tratti spiccatamente maschili o femminili.
Ma non si
tratta di «giocare» con la natura. Ed è questo il cuore del saggio di Martino:
la scienza è una professione onesta, che racconta la biologia per come si
mostra, non per come ci piacerebbe fosse. Lo scienziato non «manipola», ma
cerca, solleva coperchi su contenuti di volta in volta diversi, procedendo per
errori e appuntando sorprese sconcertanti. E a chi si scandalizza Martino
accenna un concetto importante: «L’oscillazione di ciò che chiamiamo “identità”
è la norma in natura: piante come orchidee e poi batteri e funghi sono in grado
di cambiare specie, come singole cellule sono in grado di cambiare
specializzazione anche dopo avere assunto forma e funzione definitive,
considerate fino a poco tempo fa immutabili e irreversibili». Questa «labilità»
organico-identitaria può apparire bizzarra, ma è necessaria: se non esistesse,
la vita non potrebbe sopravvivere ai mutamenti dell’ambiente. Sulla natura
agisce infatti un motore lento, quello dell’evoluzione, ma anche un altro -
repentino e «opportunista» - conseguenza dell’indispensabile bisogno dei
viventi di adattarsi e autoriprogrammarsi: la vita, infatti, non è
semplicemente ospite dell’ambiente, ma ne è permeata. «Pensiamo - continua
Martino - che l’organismo umano è formato sì da 100 mila miliardi di cellule,
ma, contestualmente, contiene un milione di miliardi di microbi - per esempio
quelli che vivono nell’intestino e ci permettono di digerire certi alimenti,
ndr - . Questa simbiosi tra uomo e natura è una mutua collaborazione che
consente l’adattamento».
La natura non è dunque un progetto, ma un architetto, che incessantemente
toglie, mette, sostituisce e arrangia bulloni e meccanismi per permettere la
simbiosi tra io biologico e ambiente che è alla base della nostra
sopravvivenza: non una «natura indifferente» all’uomo di leopardiana memoria,
ma indifferente, semmai, alle sue categorie. Quindi - conclude l’autore -
«additare come “contronatura” certi comportamenti assolutamente naturali
significa ignorare la realtà delle cose, scegliendo, deliberatamente, di essere
“contro la natura”».
La Stampa - 28 maggio 2014
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