Marco 1,1-8
Inizio della buona notizia che è
Gesù
Inizio del vangelo di
Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco,
dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno
che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi
sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo
di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione
della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da
lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di
peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava
cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte
di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io
vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Il testo
evangelico della seconda domenica di avvento offre alla nostra riflessione la
figura di Giovanni il Battezzatore, come ultimo anello di una lunga storia di
uomini e donne che hanno atteso operosamente il compimento delle promesse
antiche.
Quest’anno
il ritratto del Battezzatore ci è offerto da Marco, di cui leggiamo i primi 8
versetti dell’intero suo racconto. La nostra riflessione si sofferma sui
versetti 1-3.
“Inizio
della buona notizia che è Gesù, cristo, figlio di Dio” (1,1)
E’ il
titolo dell’intera composizione di Marco e come tale è un condensato di ciò che
l’autore svilupperà in seguito.
Quando
Marco scrive, tra il 65 e il 70 d.C, il termine “vangelo” non indica ancora il
libro (questo avverrà solo nel II secolo).
Il termine
greco euaggelion nella versione dei LXX (III-II sec. a. C.) traduce
l’ebraico besorah (“lieto annuncio”). Tale annuncio gioioso - portato da
messaggeri che correvano veloci fino in città - si riferiva spesso a una
vittoria in battaglia che apriva a un futuro nuovo.
E’
soprattutto con Isaia che il termine besorah/euaggelion assume un
significato religioso, perché ora il contenuto dell’annuncio, fonte di gioia e
di speranza, è l’intervento di Dio che riconduce il popolo a Sion dopo
l’esilio.
In questo
orizzonte di significati è molto forte udire che il vangelo, il lieto annuncio,
è l’uomo Gesù. La sua vita, umanissima e concreta, il suo messaggio, il suo
stile di vita, le sue scelte, sono l’annuncio gioioso della vicinanza di Dio.
Potrebbe
bastare questo: Gesù è la buona notizia, che annuncia e fa vedere l’amore di
Dio per noi! I due titoli che seguono (senza articolo!) – molto significativi
per gli uditori di allora ma più oscuri per noi oggi – ribadiscono in fondo la
stessa cosa.
Gesù è la
buona notizia perché è “unto” da Dio, prescelto da Dio per una missione a
favore del popolo, per un futuro di vita, di libertà e d fedeltà all’alleanza
(cristo/messia). Gesù è la buona notizia perché è somigliante a Dio in tutto,
nel suo modo di essere e nel suo agire, come un figlio che somiglia al proprio
padre e realizza il suo volere (figlio di Dio).
Marco
dunque si accinge a raccontare l’inizio della buona notizia. Se questo è il
titolo, allora tutta la sua narrazione, dal Battista fino alla Resurrezione,
riguarda l’inizio.
Raccontare
l’inizio, il principio (così come in Genesi) vuol dire mettere in luce i tratti
fondanti e fondamentali della buona notizia, l’essenziale con cui ci si dovrà
sempre confrontare, ossia l’intera vicenda di Gesù, dalla Galilea fino al
ritorno in Galilea (cf. 16,8) passando per Gerusalemme.
Raccontare
l’inizio suppone anche la consapevolezza di uno sviluppo, di una storia che
scaturisce da quella sorgente. L’inizio rimanda alla nostra storia, nella
misura in cui accogliamo la buona notizia e ne diventiamo eco viva seguendo la
via di Gesù.
In questo
racconto il primissimo personaggio che entra in scena, ancor prima di Giovanni,
è il Dio che ha parlato per mezzo dei profeti e ha mandato i suoi messaggeri a
preparare una strada per lui, affinché possa venire in mezzo al suo popolo.
Il tema del
preparare nel deserto una strada a Dio è presente anche all’inizio del Secondo
Isaia (cf. Is 40,3) che proclama il nuovo esodo e la fine della tribolazione dell’esilio.
Questo
capitolo è un continuo rincorrersi di “voci”, che gridano, che proclamano con
forza, che annunciano liete notizie a Gerusalemme (cf. Is 40,3.6.9). La voce
che dà ritmo a questo testo è come l’eco della voce stessa di Dio, che si è
presentato dicendo: “Consolate, consolate il mio popolo!” (Is 40,1).
Tutti
questi elementi, che nei testi profetici rimandano all’intervento di Dio per il
suo popolo, sono ripresi da Marco e applicati a Giovanni (il messaggero, v. 2 e
4) e a Gesù (il “tu” presente nel v. 2). Così facendo, l’autore sottolinea che
l’inizio della buona notizia, ossia la vicenda di Gesù, è radicata
profondamente in Dio ed è la manifestazione di quella storia di fedeltà, di
amore, di consolazione di cui hanno parlato i profeti e di cui è testimone la
Scrittura.
Il rapporto
tra Gesù e Dio, qui appena introdotto ed evocato, è fondamentale per
comprendere in che senso Gesù è la buona notizia. E’ in questa relazione, fatta
di familiarità, di ascolto, di stupore e fiducia, che siamo invitati ad
entrare, a “immergerci”. Immergerci con Gesù in questa sua relazione con Dio è
il “battesimo nello Spirito”, è diventare come lui figli e messaggeri di lieti
annunci, è far risuonare qui e ora dove viviamo l’inizio del vangelo.
Dorina e Fiorenza
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