Molto in questi
giorni di tragedie familiari si sta scrivendo per stigmatizzare come la stampa
stia dando pessima prova di sé nello speculare sulla vicenda della madre, forse
colpevole, del piccolo Loris.
Passando per la
città ho visto esposti nelle edicole gli strilli di alcuni quotidiani che
promettevano ‘tutti i particolari’, anticipando così i plastici ricostruttivi
che presto Vespa esporrà in trasmissione alimentando la consueta banalità del
male, mediatica e sociale.
Nei media, come
al bar, si oscilla tra la santificazione della maternità e la ‘moderna’ tendenza
all’insulto sessista: la ministra al giovedì è una madonna rinascimentale ma di
venerdì si può di lei dire quanto sia esperta nell’arte della fellatio: eccoci
dunque nella scanzonata era del ‘post’ (soprattutto post femminismo), epoca
gossipara, fiera della sua amoralità e sessualmente libera di adorare
apertamente il porno e il mercato che produce.
Una società che
si sveglia inorridita alla notizia di una madre (forse) assassina e si corica
digerendo la fiera dei padri utilizzatori finali di adolescenti.
Si può, allo
stesso tempo, sostenere che la 194 è un delitto e poi pretendere che le bambine
abbiano spazi dedicati nelle beauty farm per truccarsi da donne ed essere pronte
all’uso. A Genova, in un salone di bellezza, il pacchetto con sconto che va per
la maggiore è l’offerta mamma-figlia (adolescente) per (finalmente) liberarsi
dai peli superflui, per non parlare dei programmi in rosa confetto di alcune spa
in Emilia Romagna dedicate alle bambine sotto i 10 anni.
Che madri sono
quelle che accettano scenari simili per le figlie (e i figli)? Credo che la
domanda sia falsata dalla considerazione del materno come di una categoria
astorica e apolitica.
Le donne e gli
uomini sono figlie e figli delle loro famiglie, che a loro volta sono anche il
risultato del clima sociale e culturale del luogo dove vivono.
Non tutte le
donne e non tutti gli uomini dovrebbero riprodursi: mettere al mondo e prendersi
cura, educare, insegnare ad assumersi responsabilità adulte non dovrebbe essere
un obbligo, ma la cultura diffusa vede nella maternità la forma più matura di
espressione della femminilità.
Donne e uomini
hanno cominciato a sganciare la sessualità dalla riproduzione non da molto:
questa separazione significa libertà e autodeterminazione per le donne, così
dovrebbe essere, ma non lo è sempre, persino nella nostra parte del mondo che si
definisce evoluta, perché di questa libertà si ha paura.
C’è ancora una
grande pressione, specialmente sulle donne, affinchè si coroni con la maternità
un presunto destino femminile che le vuole principalmente mogli e madri, pena
l’incompletezza.
Io adoro e onoro
mia madre, alla quale devo moltissimo, ma so che se mia madre fosse nata oggi
quasi certamente non mi avrebbe messa al mondo: mia madre non è stata forzata
alla maternità, ma se avesse avuto le possibilità che ho avuto io, grazie a lei,
le sue scelte sarebbero state diverse, e anche il suo contributo al mondo lo
sarebbe stato: senza di me, e gli anni che ha dovuto dedicare a crescermi,
avrebbe sviluppato i suoi talenti meglio di quanto ha potuto.
Ciò che dovrebbe
farci riflettere è che c’è qualcosa di molto pericoloso nel fatto che,
nonostante gli enormi passi avanti nella condizione umana, milioni di donne e di
uomini facciano scelte riproduttive non meditate, frutto più spesso di ignoranza
o immaturità, a volte in modo forzato, ‘errori’ che si incarnano in figli e
figlie che non si è pronte a crescere, semplicemente perché è troppo presto,
oppure perché non si dovrebbe diventare genitori e genitrici, ma accade.
Quello che cerco
di dire è che la decantata ‘famiglia’ è un luogo malato se non trasmette senso
del limite, capacità di autodeterminazione, valore dell’ascolto delle proprie
aspettative e desideri.
Voglio davvero
diventare madre, e padre? Domanda apparentemente semplice, ma non la è.
Mi chiedo se
alle donne e agli uomini che uccidono i figli e le figlie sia stata data la
possibilità di scegliere davvero in modo consapevole l’unico impegno definitivo
dell’esistenza, o se al contrario queste persone abbiano imboccato senza
cultura, supporto, chiarezza la strada di responsabilità che non erano in grado
di reggere.
L’unico antidoto
che vedo, per rendere minime altre tragedie, e per crescere essere umani che
possano diventare serene e buone madri (e buoni padri) sta nell’educazione, fin
dall’asilo, a non ingabbiare i generi dentro la divisa di future brave mamme e
laboriosi papà, insegnando a diventare prima di ogni altra cosa donne e uomini
consapevoli. Altrimenti, qualche decennio dopo, il rischio sarà trovare solo
mamme cattive e padri cattivi, e noi qui a inorridire senza fare un solo passo
avanti.
Monica Lanfranco
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