Mc 1, 12-15
«E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto 13e nel deserto
rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli
angeli lo servivano .14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò
nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo
è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Gesù,
dopo aver ricevuto il battesimo (Mc
1, 9-11) –durante il quale il Padre ha posto in lui tutto il suo compiacimento:
«Tu sei il Figlio mio, l’amato» – viene
subito “cacciato” (questo il senso letterale del verbo greco) nel deserto,
per essere tentato. Da chi? Da Dio
stesso.
Raggiunti
dall’amore, dopo il momento della comunione eucaristica, dopo la preghiera
risulta necessario immergerci nel nostro deserto quotidiano, fatto di
relazioni, di incontri e di scontri.
Quello
di chiudersi in un intimismo spirituale fine a se stesso, è un rischio che Gesù
stesso ha corso. Egli si è invece fatto fratello di tutti i figli del Padre, uomini
e donne ultimi, gli emarginati, i reietti della Società.
Ogni
esperienza mistica di Dio se non si
trasforma immediatamente in esperienza al di
fuori di sé è autodistruttiva.
La
realtà è quella che è. Dipende da come l’affrontiamo, come l’attraversiamo, cosa
decidiamo dinanzi ad essa. Ecco, vivere significa semplicemente addentrarci nel
deserto, attraversare la realtà e le tentazioni DECIDENDO come vivere
ogni preciso istante: se nella modalità del dono, della cura, della
benevolenza, della pazienza, della ricerca del bene dell’altro, oppure nella
modalità del possesso, dell’interesse personale, del tornaconto immediato,
dell’egoismo e della violenza.
Decidere
significa etimologicamente tagliare,
recidere, affermare fortemente da che parte stare. Certo che questo
comporta anche una buona dose di sofferenza: tagliare non è mai un’operazione indolore. Ma occorre farlo: è
l’unico modo per essere pienamente liberi.
È libero solo chi è in grado di scegliere.
Il problema è che si
decide sempre meno. Ci si astiene, forse per paura di soffrire, di far
soffrire, di schierarsi da una parte sola e di recidere ciò che non va. La conseguenza è semplicemente vivere da
rinunciatari, e quindi semplicemente non vivere o lasciarsi vivere.
Trascinarsi, sempre meno liberi, salvo poi auto-ingannarsi dicendo che tutto va
bene.
Se non c’è fatica, non c’è
crescita.
Gesù stava con le bestie selvatiche: scegliendo di non cedere alle
tentazioni, al potere, al successo, all’egoismo trasforma il proprio deserto quotidiano
in una sorta di paradiso.
La nostra lotta interiore
quindi, quanto optiamo per il bene, ci porta a riconciliarci con Dio, col
creato tutto. Il messaggio del Vangelo può voler dire allora che non occorre
più affannarsi alla ricerca di paradisi artificiali, o perdersi nell’attesa di
un futuro migliore. Il tempo è compiuto
(v. 15). Tutto è già dato e tutto è già possibile ora. La trasformazione del
presente è possibile qui e in questo momento, nella misura in cui ci convertiamo, ovvero volgiamo la nostra
vita alla possibilità del bene e credendo
che questa modalità è anche l’unica in grado di poter gridare alla fine della
nostra avventura umana: «È compiuto!»:
sono diventato pienamente me stesso!
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