Mc 4,
35-41
«In
quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36E, congedata la folla,
lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con
lui. 37Ci
fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto
che ormai era piena. 38Egli
se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli
dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». 39Si destò, minacciò il
vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande
bonaccia. 40Poi
disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da
grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il
vento e il mare gli obbediscono?».
Il vangelo di Marco, che troviamo in forma
allungata anche in Luca e Matteo, affronta un tema che amo particolarmente,
quello del “cambiamento”.
E’ bello che Gesù voglia che passiamo all’altra
riva, che non rimaniamo fermi sulle nostre posizioni, sulle cose che pensiamo
di aver capito e acquisito. Guai ad una vita che si è seduta.
Fortunatamente, credo capiti a tutti, ci sono
momenti in cui percepiamo di dover ancora fare qualcosa. Quando siamo
soddisfatti del nostro lavoro, degli affetti e abbiamo raggiunto magari una età
di mezzo, ecco che arriva la crisi, ci rendiamo conto che forse abbiamo ancora
da scoprire molte cose.
Il grande rischio però è quello di non avere il
coraggio di andare avanti.
All’altra riva c’è Cafàrnao, ci sono i Goyim (i
pagani) e gli ebrei non hanno molta voglia di andarci, di lasciare la folla, l’abitudine
ma soprattutto, essi hanno il terrore del mare. Per Israele esso è il segno di
ogni male possibile, rappresenta tutto ciò che ci fa paura, la paura del
cambiamento.
E noi? Non preferiamo forse ciò che conosciamo
anche se non ci soddisfa pienamente ad un ipotetico miglioramento che ci spinge
però al cambiamento? Quali sono le nostre paure? La malattia, la morte, la
paura di non essere amati e tante altre.
Gesù ci spinge ad attraversare il lago, a superare
la Paura, a scoprire un’altra dimensione di noi stessi, un altro modo di vedere
le cose. Mi piace pensare che si tratti di una dimensione del cuore. Dio, a
differenza dell’idea di staticità che spesso abbiamo di lui, è dinamismo, ci
sprona a avanzare, sempre
E ci sono altre barche con noi. Non è una esperienza
solitaria quella della fede.
Nella nostra Comunità non manca occasione di incontrare
persone che dopo una vita in cui anno creduto di credere vogliano rimettersi in
gioco, alla scoperta di una fede nuova, viva e consapevole.
E come accade nella vita, prima o poi a tutti, proprio
quando siamo in mezzo al lago, si scatena la tempesta. E le nostre certezze crollano,
si sgretolano. Magari abbiamo percorso un lungo cammino mettendo al centro della
nostra vita proprio Dio ed ora abbiamo l'impressione di affondare, travolti dal
dolore o dai nostri sbagli, malgrado tutti i nostri sforzi anche sinceri. E
pensiamo di non essere all’altezza, ci siamo fidati troppo, ci pentiamo di
esser saliti sulla barca, Dio c’è ma dorme, non gli importa che io muoia.
Non sono forse questi i pensieri che affollano la
mente nei momenti di tempesta?
Pensiamo che una vita bella sia una vita senza
complicazioni, in cui tutto vada liscio. Credo che una vita autentica debba avere
il coraggio di fare delle traversate. Questo è possibile se ci fidiamo di Dio
ma non di un Dio costruito a nostro piacere.
Non abbiamo bisogno di un Dio che ci allacci le
scarpe ma capace (scusate il gioco di parole) di renderci capaci di governare
la barca della nostra vita. Dobbiamo avere il coraggio di prenderlo così com’è,
così come i discepoli “prendono Gesù così com’è.”
Nella parte finale del passo, Gesù sgrida il vento,
intima alla tempesta di placarsi. Marco utilizza lo stesso verbo di quando il Rabbi
scaccia i demoni, manda via il male. Anche in questo caso egli interviene per
scacciare qualcosa che ci spaventa. L’evento è un evento di fede, Gesù con la
sua forza porta la pace, la calma. Pone un argine, crea un momento di serenità
attorno alla barca.
Momenti che dovremmo riuscire a ritagliarci, tempi
di riflessione, di silenzio, per ascoltare, noi stessi, Dio. Magari lui ci
parla e non lo sentiamo, immersi nel fracasso della vita.
E
chiediamoci, “Chi è dunque costui?” Chi è questo Dio che non ci risolve
i problemi ma ci aiuta ad affrontarli? Non perdiamo ma rinvigoriamo la fiducia
in questo Dio che ci ama, presente sulla barca insieme a noi, che non interviene perché vuole lasciare alla nostra
dignità, alle nostre capacità, il compito di arrangiarsi nelle difficoltà della
vita.
Chiudo con una
riflessione che ho maturato negli ultimi tempi: l’atto di Amore più grade che
Dio possa aver fatto verso l’uomo, è l’averlo dotato della capacità di
attraversare il mare in tempesta.
Buona settimana.
Mary
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