Sama è
partita dal Sudan per raggiungere suo padre a Crotone. Nella borsa ha infilato
pochi stracci e una gatta di dieci mesi, Lola. L’impresa è parsa da subito
disperata. Nella storia recente della migrazioni solo due animali hanno varcato
illesi il Mediterraneo: una capretta e un felino anziano. Ma nessuno è mai
riuscito a sbarcare a Lampedusa. La ragazza ha praticato quattro fori nella
borsa e nascosto la cucciola a trafficanti e doganieri, tirandola fuori
soltanto la notte nel deserto libico per brevi passeggiate sotto il cielo
stellato. Poi la traversata, il barcone, la paura, il rimorchiatore inglese che
le porta in salvo a Lampedusa. E la gatta che mette la testa fuori dalla borsa
e viene smascherata. La ragazza urla che non vuole scendere senza di lei,
mentre la borsa ondeggia tra le mani di un soldato che sta per buttarla a mare.
Ma siamo in Italia e scatta l’Operazione Gatto. Il sindaco si precipita sul
molo, e dietro il sindaco il medico, e dietro il medico i volontari, i
carabinieri, gli animalisti, i semplici cittadini: giù le mani da Lola, è già
diventata patrimonio nazionale. Dopo l’inevitabile quarantena, potrà
ricongiungersi alla sua umana di riferimento.
Una
storiella marginale, persino stucchevole, che farà dire a qualcuno che in
questa parte di mondo siamo più affezionati alle bestie che alle persone.
Eppure, agli occhi di molti, l’odissea della gatta Lola ha semplicemente
umanizzato i migranti. Una ragazza sudanese che scappa col suo animale
domestico non è più una clandestina, ma una come noi. Chissà se Maroni ha un
gatto.
Massimo
Gramellini – La Stampa 10/06/2015
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