Il libro di Michela Murgia pone coraggiosamente
l’accento sull’enorme responsabilità che la Chiesa ha avuto, nei secoli, nella
costruzione di un modello di donna passiva e obbediente, che ancora oggi
percepiamo con chiarezza nei commenti di tanti uomini (e, non di rado, donne) e
nell’impostazione della nostra società. I capitoli sono molto densi e
forniscono tantissimi spunti interessanti di riflessione. Complessivamente, la
mia impressione è stata quella di trovarmi davanti ad una sintesi profonda e
molto ben ragionata dei tanti luoghi comuni e dei molti giudizi pesanti che
sono cuciti costantemente addosso alle donne. Il quadro non ci è nuovo ma
riconsiderarlo nel suo insieme è decisamente sconfortante.
Ho riflettuto sulla figura di Maria (non mi trovo a
mio agio con l’espressione “madonna”, troppo lontana da me), proposta dalla
Chiesa come modello unico per le donne, e sulla rilettura che ne dà la Murgia;
per l’autrice Maria, al contrario della creatura obbediente e silenziosa che la
Chiesa presenta, era una donna anticonformista e libera di autodeterminarsi. La
Murgia continua, quindi, a dare per scontata la verginità di Maria e
l’autenticità dell’episodio dell’annunciazione; semplicemente, dà
un’interpretazione diversa di questa figura, altrimenti modello troppo lontano
e mortificante per le donne odierne.
La mia esperienza di
fede è molto diversa da quella della maggioranza della gente, dato che sono
praticamente nata dentro le comunità di base, per cui alcuni “dogmi”
decisamente comuni per tutti per me non sono mai stati tali; uno di questi
riguarda proprio la figura di Maria, che io non ho mai percepito come modello
per la mia vita di donna e di persona. Allora, sono andata a rileggere i
vangeli per vedere se davvero questa figura ha avuto, nella vita di Gesù, una
rilevanza come quella che la Chiesa racconta e che la Murgia e esplicita molto
bene nel suo libro.
Il risultato, però,
è un po’ povero: nel vangelo di Marco non è mai citata, se non in un breve
brano (che ricorre anche negli altri tre) in cui si dice che la madre di Gesù e
i suoi fratelli lo cercavano per parlargli. Negli altri tre vangeli è citata in
relazione alla nascita di Gesù, a dimostrazione di quanto lui fosse speciale, e
Giovanni la cita anche nel brano in cui trasforma l’acqua in vino (qui è Maria
che spinge Gesù ad agire). Inoltre, Giovanni è l’unico evangelista che ricorda
la presenza di Maria insieme alle altre donne che assistettero alla morte di
Gesù in croce.
Quello che mi ha
sempre colpita, dunque, è l’assenza di Maria nella vita e nella predicazione di
Gesù. Secondo la mia personale impressione, non sembra che abbia avuto una
grande parte nelle scelte di vita del figlio, né che lo abbia seguito nella sua
predicazione, come facevano tante altre donne. In sintesi, non ho mai capito
per quale motivo dovrei poterla eventualmente considerare come modello.
Inoltre, in tutti e quattro i vangeli si ripete più volte che Gesù aveva dei
fratelli e delle sorelle: quindi, se anche si vuole intendere alla lettera
l’episodio dell’annunciazione, dovremmo, però, arrivare alla conclusione che,
dopo la nascita di Gesù, Maria ha avuto anche una serie di altri figli
concepiti naturalmente. Perciò, a mio avviso, la lettura ecclesiastica che la
vuole come madre vergine e, per questo, modello di purezza e moralità è una
enorme forzatura, soprattutto innaturale e illogica. Infatti, gli evangelisti
non hanno evidentemente colto nessuna contraddizione nel citare i fratelli e le
sorelle di Gesù.
Al contrario, pur
essendo donna, ho sempre considerato Gesù come il mio modello più naturale. In
questo senso, sono consapevole di essere stata fortunata a poter leggere i
vangeli senza i pesanti filtri ecclesiastici; infatti, questo mi ha consentito
di sentire Gesù come un modello molto vicino a me e non come un dio lontano e
irraggiungibile. Inoltre, a mio avviso, Gesù ha delle caratteristiche più
“femminili” che “virili”, nel senso in cui si intende oggi il modello maschile
per eccellenza, quello machista. È un Gesù che piange, che non ha paura di
mostrare il suo amore per le persone (sia uomini che donne) come anche i suoi
lati deboli e, soprattutto, che non giudica. Penso all’episodio dell’adultera
che lui si rifiuta di giudicare e impedisce che venga lapidata; quante volte,
al giorno d’oggi, si criticano le donne per i loro comportamenti o per la loro
libertà di scegliere cosa fare della propria vita e del proprio corpo?
In conclusione, con
tutto il rispetto per Maria, credo che il suo ruolo nell’ambito della fede sia
stato ampiamente sopravvalutato e, invece, decisamente sottostimato quello
delle discepole di Gesù, negando, così, alle donne (cattoliche) la possibilità di
diventare predicatrici e pastore al pari dei maschi. Ma la battaglia non è, certo,
persa finché ci saranno spazi aperti di discussione sull’argomento e credo che,
prima o poi, qualcosa cambierà, come è nell’ordine naturale delle cose.
Anna Cau
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