Non è obbligatorio sottoporsi all'operazione di cambio sesso per avere la
correzione degli atti anagrafici. Lo ha stabilito la prima sezione della Corte
di Cassazione decidendo sul ricorso presentato dai legali di Rete
Lenford-Avvocatura per i diritti Lgbt, che assistono una persona trans di 45
anni.
La loro assistita già sedici anni fa aveva ottenuto una sentenza che
l'autorizzava all'intervento chirurgico, ma aveva rinunciato perché nel tempo
aveva raggiunto un equilibrio psico-fisico e da 25 anni vive ed è socialmente
riconosciuta come donna. Sia il tribunale di Piacenza che la corte d'appello di
Bologna, a cui si era rivolta per ottenere la rettificazione dello stato civile
pure in assenza dell'intervento chirurgico, avevano respinto la richiesta
aderendo a quella giurisprudenza di merito, sino ad oggi prevalente, che
subordinava la modificazione degli atti anagrafici all'effettiva e concreta
esecuzione del trattamento chirurgico sugli organi genitali.
Oggi con una sentenza che potrebbe rivelarsi storica la Cassazione sostiene
che "la percezione di una disforia
di genere determina l'esigenza di un percorso soggettivo di riconoscimento di
questo primario profilo dell'identità personale né breve né privo d'interventi
modificativi delle caratteristiche somatiche ed ormonali originarie. Il profilo
diacronico e dinamico ne costituisce una caratteristica ineludibile e la
conclusione del processo di ricongiungimento tra 'soma e psiche' non può,
attualmente, essere stabilito in via predeterminata e generale soltanto
mediante il verificarsi della condizione dell'intervento chirurgico".
"Non può in conclusione che essere
il frutto - aggiunge la Corte - di un
processo di autodeterminazione verso l'obiettivo del mutamento di sesso,
realizzato mediante i trattamenti medici e psicologici necessari, ancorché da
sottoporsi a rigoroso controllo giudiziario". In pratica, non può
essere soltanto l'intervento chirurgico a determinare il cambio di sesso di una
persona.
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Repubblica – 21 luglio 2015
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