«I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e
guadagnare soldi...». Era il 10 settembre di due anni fa quando Francesco
apriva così un altro fronte interno ai poteri del Vaticano. Un fronte sempre
più rovente guardando al Giubileo. All’interno delle Sacre mura, con il Papa
che rivendica la missione caritatevole della Chiesa in contrapposizione alle
tentazioni del business. E all’esterno, fra chi fa barriera alle rendite di
posizione ecclesiastiche e chi vuole colpirle. Le organizzazioni religiose
hanno soltanto nella città di Roma quasi trecento strutture ricettive. Per
tredicimila posti letto. E siccome nella Capitale fra hotel, bed &
breakfast e residence ce ne sono altre 1.041, significa che per ogni quattro
alberghi privati ce n’è uno della Chiesa. Che spesso non paga nemmeno le tasse.
«Case per
ferie» Gli uffici del Campidoglio hanno finalmente risposto alle domande del
consigliere comunale Riccardo Magi, presidente dei radicali italiani, che da un
anno e mezzo chiedeva chiarimenti sulla situazione paradossale delle cosiddette
«Case per ferie»: quasi sempre alberghi a tutti gli effetti, che chiunque può
prenotare su internet. Subito, nel rapporto che gli uffici hanno recapitato a
Magi, ecco una sorpresa. Il sito internet comunale ne riportava 299 (in realtà
297 considerando un paio di duplicazioni) ma agli uffici ne risultavano meno di
280. Per l’esattezza 273. I proprietari sono invece 246. Un elenco lunghissimo,
che va dalla Casa dell’Aviatore all’Associazione Farnese, dalla Casa di Santa
Brigida alla Cattedrale del Santo Cuore di Maria e Gesù, dalla Compagnia di
Nostra Signora al Monastero russo Uspenskji, dalle Suore missionarie Pallottine
alla Casa d’Accoglienza Trinità dei Monti... Dice il Comune che ben 93, cioè il
38 per cento, non ha mai pagato l’Imu, mentre altri 59, ossia il 24 per cento
la versano a intermittenza. Pagano regolarmente l’Imu soltanto 94. Meno di
quattro su dieci. Così anche per la Tasi. Un terzo (80 su 246) non l’ha mai
pagata. Nel caso della Tari, la tassa sui rifiuti, siamo invece al delirio
totale. Perché delle 299 (o 297) strutture censite dal sito, soltanto 208
esistono nella banca dati della Tari, con una proprietà riferibile a 187
soggetti di cui, afferma il rapporto «purtroppo 30 privi di codice fiscale o
partita Iva». Le altre 91 risultano del tutto sconosciute al fisco comunale.
Che questo sia un problema economico (oltre che politico) enorme, in una città
dove si contano pure quattromila alberghetti abusivi, è noto da tempo.
Evasione
fiscale. Afferma il Comune che fin dal 2004 sono state emesse ingiunzioni di
pagamento per complessivi 19,1 milioni a carico di 133 dei 246 soggetti
proprietari delle «Case per ferie». Solo 32 hanno accettato di pagare, mentre
101 hanno avviato un contenzioso. Per cifre anche più che rilevanti. Qualche
caso? Le Piccole Ancelle del Cristo Re che offrono sul web «72 camere fra
singole, doppie e triple a pochi passi dalla Basilica di San Pietro, con
servizi privati, tv color e wifi... e ottimo ristorante» sono in causa per 320
mila euro. Alla Congregazione delle Mantellate Serve di Maria sono riusciti a
far pagare finora 281 mila euro ma c’è ancora in ballo una pendenza di un
milione 163 mila euro. Con le Suore Oblate del Bambino Gesù c’è un contenzioso
si 694 mila euro: finora ne hanno pagati 9.176. Insomma, un Vietnam. Tutto
perché le regole sono fatte apposta per essere aggirate. Con il governo
Berlusconi. Con quello Prodi. E con Monti.
Il decreto Nel 2012
Graziano Delrio, oggi ministro e allora presidente dell’Anci, rivela che l’Imu
teoricamente dovuta al Fisco per gli immobili commerciali della Chiesa è di
almeno 500 milioni l’anno. Si fa allora un decreto per fissare il principio che
non si pagano le tasse per i locali in cui si svolge attività ricettiva «con
modalità non commerciale». Rinviandone la traduzione pratica a un successivo
regolamento. Che è però l’ennesimo pasticcio. La struttura ricettiva si deve
autodenunciare e poi spetta all’amministrazione dimostrare che lì si svolge
un’attività commerciale, non considerata tale se i prezzi non sono superiori a
metà di quelli del quartiere. Oggettivamente complicatissimo, come ammette
anche lo stesso rapporto del Comune: «La particolare tipologia degli Enti
religiosi, la classificazione catastale degli immobili (che rimane spesso
ambigua e non aggiornata rispetto al loro utilizzo effettivo), la loro tendenza
a percorrere quasi sempre la strada del contenzioso, e una normativa che
solamente in tempi recenti ha cercato di chiarire e limitare le caratteristiche
di esentabilità del loro patrimonio immobiliare, hanno reso incerto il
possibile incasso...». Se questa non è una resa, poco ci manca.
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