domenica 19 gennaio 2020

Siamo davvero "un passo indietro"

Avrei voluto che alla conferenza stampa di presentazione del 70esimo Festival di Sanremo almeno una delle donne sedute al fianco di Amadeus si fosse alzata in piedi per dirgli che quello a cui stava assistendo era uno spettacolo indecente.
Avrei voluto che Francesca Sofia Novello, anziché aggiustarsi i capelli e sorridere, si fosse alzata in piedi per dire che lei non è solo la “fidanzata di” e che se se ne sta seduta lì non è certo perché sa stare un passo indietro, ma perché ha saputo fare tanti passi in avanti, da sola e con fatica.
Avrei voluto che le altre donne, giornaliste, anchorwomen, conduttrici e professioniste avessero avuto un moto di fastidio e di indignazione, che avessero preso parola per illustrare ad Amadeus che, fortunatamente, la lingua italiana possiede molti altri aggettivi oltre a quel “bella” o “bellissima” pronunciati allo sfinimento e del tutto fuori contesto.
In quella lunghissima mezz’ora Amadeus mi è sembrato una sorta di Battisti intento a cantare “Dieci ragazze per me posson bastare …” e ad elencare il solo motivo del perché le ha volute per sé.
“Una la voglio perché” … è bellissima e sa stare un passo indietro.
“Una la voglio perché” è stata un’icona sexy, un sogno erotico e a cinquanta anni è ancora bellissima.
“Una la voglio perché” … presenta il telegiornale, ma soprattutto è bellissima.
“Una la voglio perché”… stupore: sa bene parlare!
Già, è la volta di Rula Jebreal, della quale Amadeus dice: “L’ho voluta per parlare di donne, non per fare politica”. E chissà cosa mai vorrà dire “parlare di donne” e per quale motivo farlo si discosta dal far politica. Le donne hanno lottato a lungo per far capire quanto il privato di ognuna di noi sia politico, ma a quanto pare questa consapevolezza non ha ancora fatto il suo ingresso dalle porte di Via Mazzini né tantomeno da quelle del teatro Ariston. Del resto in un mondo dove le donne sono scelte per la loro bellezza, parlarne non può assumere alcun significato politico, ma può solo essere un pretesto per metterle in mostra e darle in pasto all’eterna ricerca di gratificazione estetica ed erotica maschile.
Le donne sono belle o non sono. O almeno non sono sul palco dell’Ariston. Parlare di violenza in questa prospettiva è già violenza, ma questo è un passaggio che Amadeus faticherà molto a comprendere. Perché forse non ha capito che la violenza inizia ben prima dello schiaffo o dello spintone. Inizia ogni volta che una persona viene valorizzata o svalorizzata per il suo aspetto fisico. Ogni volta che le si chiede di stare “un passo indietro”. Ogni volta che la si sminuisce o le si impone un modello estetico o culturale che è sessista e che non lascia alcun spazio alla sua dignità. Ogni volta che la donna è presentata come oggetto e non come soggetto.
Ma è violenza anche sentire come per il conduttore affrontare il tema del contrasto alla violenza contro le donne non abbia nulla di politico e di culturale, ma abbia a che fare unicamente con la tutela e la difesa fisica. A parlare di uomini che ammazzano le donne sono altri uomini, che le mortificano e nemmeno se ne accorgono, ma che si vantano di saperle difendere, perché si sa: “le donne non si debbono toccare nemmeno con un fiore, nemmeno a San Remo, che dei fiori è la città simbolo”.
Questo Festival che vorrebbe aprire spazi nuovi alle donne, in realtà non fa che chiudere prospettive di parità e dignità, per venderci ancora vecchi clichè che restano ancorati a stereotipi di settanta anni fa. Ecco perché, per vedere una vera apertura, avrei voluto non tanto che Amadeus usasse parole e aggettivi diversi, non sessisti, non umilianti, ma soprattutto che le donne presenti rivendicassero per se stesse e per tutte noi un altro tipo di presentazione, un altro tipo di considerazione e di racconto.
In un Paese come il nostro che il Consiglio d’Europa ha condannato per le forti resistenze presenti nei confronti di una piena attuazione dell’uguaglianza tra donne e uomini, la televisione di Stato non fa che contribuire a consolidare e divulgare queste stesse resistenze. Anzi ne crea di sempre maggiori, andando a riportare a galla un torbido che pensavamo e speravamo si fosse depositato per sempre.
Eppure, mentre Amadeus parlava, io ho continuato a guardare quel tavolo arricchito da meravigliose rose e a sperare che almeno una di quelle donne si alzasse in piedi e con una rosa in mano rispondesse ad Amadeus utilizzando lo slogan delle operaie di Lawrence: “Noi donne vogliamo il pane, ma anche le rose”.
Avrei voluto, cioè, una presa di coscienza pubblica e politica e avrei voluto che fossero le donne stesse a farlo. Un moto di dignità. Ma io sono troppo femminista, mentre il mio Paese continua ad essere sempre troppo sessista e maschilista, mostrando un’immagine di sé che davvero sta “un passo indietro” ad un mondo che va assai più veloce di noi.

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