lunedì 18 aprile 2022

La conversione di Gesù

"L'espressione «conversione» riferita a Gesù può causare sorpresa qualora per conversione si intenda un cessare di fare il male per fare il bene, un tornare al Dio che si è prima abbandonato, come tanto insistono i profeti di Israele. Senza dubbio, la conversione ha normalmente insiti in sé entrambi i momenti, non però necessariamente. La logica della seconda settimana degli Esercizi di S. Ignazio, per esempio, non si basa semplicemente sulla scelta tra il bene e il male, ma sulla scelta di quel bene concreto che Dio vuole. Seguendo il linguaggio metaforico del «volgersi a Dio», la conversione consiste nell'abbandonare il «proprio posto, ancorché buono, per incontrare Dio «là» dov'egli vuole essere incontrato.

In questo senso preciso non v'è dubbio che si possa e si debba parlare di una conversione di Gesù; il suo era infatti un Dio in movimento che lo obbligava a muoversi a sua volta. Quello che indicano i vangeli è appunto. che Gesù ha lasciato che Dio lo muovesse dal proprio posto. Per fare un semplice esempio, possiamo domandarci se la visione teologale di Gesù all'inizio della sua vita, com'è presentata dai sinottici, sia la stessa che egli ha alla fine, o se sia sostanzialmente cambiata.

Abbiamo già visto che all'inizio della sua vita Gesù annunciava il regno di Dio e la sua vicinanza, operava numerosi segni al riguardo, chiamava i discepoli ad accompagnarlo in questa missione, fustigava il peccato degli oppressori esigeva dai poveri e dai peccatori una fede-speranza, la sua preghiera era di esultanza e di ringraziamento. In questa prima grande parte della sua vita Gesù, sia pure in un modo tutto suo, offri l'immagine di un ebreo erede delle migliori tradizioni religiose del suo popolo, tradizioni che volle riproporre in modo vivo nella speranza che avrebbero dato frutto. Egli manifesta certamente nell'esperienza di Dio qualcosa di specificamente suo, eppure vi si osserva ancora una relativa continuità con l'esperienza di Dio che si era avuta prima di lui.

Ciò nonostante, al termine della sua vita la sua visione teologale è molto diversa. Non parla della vicinanza del regno - pur seguitando nella cena ad aspettarne la venuta, senza più esplicitarne però il modo e i segni – né compie miracoli, anzi li proibisce. L'appello che rivolge ai discepoli di seguirlo non è per un invio entusiastico, ma per portare ognuno la propria croce. Il peccato non è più qualcosa unicamente da denunciare e fustigare, ma qualcosa da prendere su di sé. La sua preghiera non è di esultanza ma di abbandono totale alla volontà di Dio. Infine sulla croce, anziché parlare del regno di Dio, Gesù lancia un grido lacerante a Dio.

Non v'è dubbio dunque che la visione teologale che Gesù offre al termine della sua vita sia ben diversa da quella iniziale. Formalmente sono presenti in essa gli stessi elementi che vi si trovavano dall'inizio: Dio, la missione, il peccato la sequela, la preghiera; e però assai differente la loro «storicizzazione» La sua vita è ora dominata dal mistero di Dio e da ciò che in Dio v'è di mistero. La tematica teologale è la medesima, senonché Gesù l'ha concretizzata ln maniera non puramente concettuale ma storica. Gesù ha tentato di cambiare la storia secondo la volontà di Dio, la storia ha invece cambiato progressivamente lui nella sua relazione con Dio. In tale contesto la conversione di Gesù viene a significare la reale disponibilità a rispondere a Dio nella storia, ovunque egli lo conduca."

 

(tratto da Jon Sobrino, "Gesù Cristo liberatore", ed. Cittadella, 1965, pp. 257 e 258)

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